Antiper | Non solo contro il razzismo, ma contro l’ingiustizia sociale. Sulla rivolta di Minneapolis
La “rivolta di Minneapolis”, esplosa con l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia cittadina, si è estesa in modo rapidissimo al resto degli Stati Uniti ed ha raccolto una vasta solidarietà anche nel resto del mondo.
L’assassinio di George Floyd ha avuto un impatto emotivo fortissimo; vedere un uomo a terra che implora di non essere ucciso e chiama la madre, quando il suo assassino lo soffoca senza pietà, con le mani in tasca, mentre chiacchiera con gli altri suoi complici, è qualcosa che ti mette un’arma in mano.
Ma proprio l’ampiezza della rivolta dimostra che le sue ragioni sono radicate profondamente in una condizione sociale e politica che negli Stati Uniti ha superato da tempo il limite della sopportazione e che va oltre la questione della lotta contro il razzismo.
Del resto, il razzismo non è certamente nuovo nella società americana che ha costruito la sua fortuna proprio attraverso la riduzione in schiavitù di milioni di persone libere obbligate a coltivare i campi prima e a sgobbare nelle fabbriche poi.
Certo, il razzismo è certamente una delle molle della rivolta, quel razzismo che dilaga in una parte della società americana e segnatamente in un ceto medio bianco impoverito e incattivito dalla crisi e dal tramonto dello status imperiale americano, un ceto medio asserragliato a difesa dell’illusione che l’imperialismo americano possa tornare ad essere “great again” e intenzionato a scaricare la propria frustrazione su tutti i settori umani che non corrispondono al proprio identikit WASP.
Ma non si tratta solo di questo. Si tratta di una società che è piegata sotto le contraddizioni esplosive prodotte da una devastante distribuzione del reddito nazionale negli ultimi decenni. Il World Inequality Report del 2018 [1] mostra il divergente andamento della distribuzione del reddito nazionale tra l’1% più ricco della popolazione – il top 1% – e il 50% più povero – il bottom 50% – negli Stati Uniti e in Europa Occidentale, tra il 1980 e il 2015
Come si vede il 50% più povero della popolazione deteneva nel 1980 più del 20% della ricchezza nazionale prodotta mentre l’1% più ricco deteneva meno dell’11%. Nel giro di 35 anni la situazione si è rovesciata: il reddito detenuto dal 50% più povero (che contiene gran parte della classe operaia americana) è diminuito costantemente mentre quello detenuto dagli ultra-ricchi – l’1% – è aumentato costantemente.
Per inciso sono (in parte) gli anni in cui il tasso medio di profitto è tornato a salire negli USA, a dimostrazione che il profitto è sempre correlato ai salari dei lavoratori e al reddito sociale.
Nell’Europa Occidentale il fenomeno si è prodotto in modo meno accentuato; si è passati da un divario bottom50-top1 di circa 15 ad inizio anni ’80 ad un divario di circa 10 nel 2015, mentre negli USA i divari erano, rispettivamente, circa 10 a favore di bottom-50 nel 1980 e circa 7 a favore di top-1 nel 2015 con un’escursione di 15 punti (3 volte quella europea)
L’enorme crescita della concentrazione di reddito nelle mani dei ricchi e degli ultra-ricchi negli USA ha prodotto inevitabilmente la crescita dell’indice di Gini [2] che, applicato alla distribuzione del reddito, misura il livello delle disuguaglianze.
Negli anni considerati il coefficiente di Gini negli USA [3] ha avuto una chiara e forte tendenza a crescere
Si tratta di una tendenza abbastanza “naturale” per il modo di produzione capitalistico che, come ricordava Marx, funziona come un “doppio mulinello”, riproducendo e approfondendo le disuguaglianze; ma negli USA questa tendenza è stata particolarmente pronunciata.
Naturalmente il disagio sociale ed economico non è mai il solo elemento che entra in gioco in una rivolta come questa; ce ne sono tanti altri – la violenza della polizia, le persistenti discriminazioni delle minoranze, i giovani sempre più senza futuro, le donne che negli USA sono ancora fortemente vincolate alla logica “male breadwinner – female caregiver”, il fiato sul collo di un complesso militare-industriale-politico [4] e di intelligence… – ma è certo che il disagio sociale ed economico rappresenta un potentissimo elemento di propulsione della rabbia sociale.
Non si tratta tanto di un problema di povertà in senso assoluto. Da un punto di vista strettamente “economico” i neri che abitano negli USA sono certo meno poveri dei neri che abitano nel Gambia; il problema è l’ingiustizia sociale che viene percepita quando una parte sempre maggiore dell’intera ricchezza viene sottratta ai poveri per essere destinata ai ricchi e ricchissimi. Il fatto che persino nella pandemia Covid-19 i “top 1%” abbiano visto crescere la loro ricchezza mentre intanto nei quartieri popolari crescevano disoccupazione, sotto-occupazione (e mala occupazione), iper-sfruttamento, sotto salari, ecc… è la riprova che è proprio il sistema (capitalistico) che deve essere sostituito e non uno suo qualche “malfunzionamento”.
Vedere, come tutti abbiamo visto, un razzista bianco che uccide a sangue freddo un nero in strada, non è che l’immagine “perfetta” di una società che schiaccia senza pietà le classi che vuol tenere sotto il “tallone di ferro” [5] e cerca di costringerle, armi in pugno, a subire il proprio dominio.
Note
[1] The Executive Summary of the World Inequality Report 2018
[2] Mariangela Tessa, Wall Street Italia: “Il coefficiente o indice di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è uno degli strumenti più diffusi per calcolare la diseguaglianze di reddito e l’iniqua distribuzione della ricchezza all’interno di un sistema sociale. Si tratta in pratica di un numero compreso da 0 a 1. Lo zero indica una situazione in cui tutti i cittadini hanno lo stesso reddito, mentre il valore 1 corrisponde alla situazione dove una sola persona percepisce tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno reddito nullo. In altre parole, più basso è il valore, più uguale è la distribuzione”
https://www.wallstreetitalia.com/indice-di-gini/
[3] Federal Reserve Bank of Saint Louis, Economic Research, Income Distribution
https://fred.stlouisfed.org/series/SIPOVGINIUSA
[4] Come ebbe a chiamarlo lo stesso Eisenhower.
[5] Cfr. Jack London, Il tallone di ferro.