François Rastier | L’heideggerismo, dopo il naufragio
Scriveva Heidegger: «Bisognerebbe chiedersi su cosa sia fondata la particolare predestinazione della comunità giudaica per la criminalità planetaria» (1). È tutto qui: il complotto mondiale e anche cosmico, l’individuazione di una comunità criminale della quale si pretende «lo sterminio totale», nove anni prima della conferenza di Wannsee. Dieudonné è stato accusato d’incitamento all’odio razziale per molto meno; ma chiunque se la prendesse per la pubblicazione di queste scempiaggini heideggeriane verrebbe subito accusato di voler censurare il grande Pensatore.
Peter Trawny, curatore dei Quaderni neri, cita ora quella frase nel suo libro Heidegger et l’antisémitisme (2), che non figura appunto nell’edizione delle Opere Complete che abbiamo citato, pubblicata nel 1998. È stata espunta, come dicevamo prima, il che la dice lunga sulle manipolazioni editoriali di queste Opere. Trawny precisa in effetti che: «i curatori scientifici e gli aventi diritto hanno deciso allora di non pubblicare la frase»; ma il curatore scientifico altri non è che Trawny stesso, che riscopre oggi una frase che volutamente aveva omesso quindici anni fa.
Da molti anni gli studenti e i discepoli ebrei di Heidegger vengono strumentalizzati per diradare ogni sospetto sull’antisemitismo del Filosofo; in primo luogo Hannah Arendt, la cui figura partecipa pienamente dell’iconizzazione di Heidegger, al teatro e al cinema (3). Nella sua opera, della quale rivendica la dimensione apologetica, Peter Trawny sfrutta al massimo questa tattica: per le donne, visto che la sola Arendt non basta più, mobilita Elisabeth Blochmann e Mascha Kaléko, per gli uomini, Hermann Cohen, Theodor Herzl, Martin Buber, il rabbino Prinz, Freud e anche Rathenau.
Inoltre opera un distinguo tra gli ebrei e il «giudaismo mondiale», innalzando l’argomento classico dell’eccezione ai livelli di un dibattito ontologico: Heidegger non sarebbe stato veramente antisemita, perché esecrava gli ebrei in generale e non singolarmente. Trawny riesce così a tenere insieme l’appello per lo sterminio e quella che chiama «la cordiale intesa con gli ebrei» (op.cit., p. 132). Così «l’antisemitismo sul piano della storia dell’Essere» non riguarderà nessuno, perché «è davvero molto difficile immaginare che quello contro cui ci si dirige sia incarnato in determinate persone» (p. 134).
Quest’opera di vera e propria politura si è prodotta anche nel convegno internazionale organizzato alla BNF alla fine di gennaio 2015, che ha visto tra gli invitati principali proprio Peter Trawny. La sua relazione è iniziata così: «Heidegger, lungo tutto il cammino del suo pensiero, è stato attorniato da «pensatori ebrei», allievi o colleghi, interpreti o critici, avversari o eredi: Husserl, Arendt, Marcuse, Jonas, Cassirer, Derrida, Freud, Lukacs, Lévinas, Strauss, Anders, Buber, Celan, Adorno, Benjamin, Rosenzweig… ». In questo elenco gli avversari (come Cassirer, Adorno, Anders) e i seguaci (Arendt, Derrida) stanno gomito a gomito; ci sono personaggi che con Heiddeger hanno avuto rapporti episodici (Marcuse, Strauss) o nessun rapporto (Freud); teorici marxisti o marxisteggianti (Lukacs, Marcuse, Adorno, Anders), o altri reputati di destra (come Strauss). Su sedici autori citati, solo Rosenzweig, Buber e Lévinas hanno avuto un rapporto ben definito con l’ebraismo. Gli altri sono atei, o cristiani (come Husserl). Non c’è niente che permetta di etichettarli come «pensatori ebrei», se non alcune origini di famiglia, ma sappiamo che prenderle in considerazione è inutile e pericoloso, perché non ci dicono nulla sulle posizioni intellettuali né sulle opere di un autore (4).
A meno di non ritenere, come già Hitler, che gli ebrei sono una «razza mentale», nulla permette di tenere insieme questi autori, se non il desiderio di una grande riconciliazione, al di là delle posizioni politiche e degli antagonismi, intorno alla figura di Heidegger, che diventa così il centro attorno a cui organizzare il pensiero «ebraico» contemporaneo. Dopo che lo sterminio degli ebrei è sembrato riassumere comodamente i crimini nazisti, molti saggisti hanno iniziato a riavvicinare Ebrei e Nazi. Senza stare a scomodare gli antisionisti radicali che paragonano la stella di David alla svastica, rinverdendo il tema dell’elezione, alcuni hanno immaginato, ad esempio, che il Mein Kampf sia stato ispirato da un rabbino (5).
Per quanto riguarda la filossofia, il riavvicinamento ha avuto luogo da tempo. Si capisce che un pensiero candidamente comunitarista possa sentirsi lusingato nello scoprire che il Filosofo per eccellenza abbia segretamente preso in prestito le sue tesi dall’ebraismo, idea, questa, articolata nel 1990 da Marlène Zarader nel suo Il debito impensato. Heidegger e l’eredità ebraica (6). Temi che tornano oggi nelle argomentazioni presentate al convegno della BNF: «come e perché l’ebraismo dimora per Heidegger nell’ordine di un debito impensato?».
Dipingere il pensatore nazi come un figliol prodigo che deve tutto ai suoi genitori ebrei, significa ancora una volta cancellare i confini tra vittime e carnefici. Senz’altro Heidegger ha ricodificato ogni sorta d’autori nella sua lingua ontologizzante, tirandone fuori centinaia di volumi magniloquenti e perentori, ma, messa da parte la questione dei nazi e i loro ispiratori, usa questi autori come materiale da lavoro e non come delle fonti implicite. Incredibilmente sprovvista di etica, la sua opera non può aver contratto un debito nei confronti dell’ebraismo, religione dell’etica che si fonda sull’osservanza della Legge. Ci troveremo a dover degradare l’ebraismo per far risplendere Heidegger? Questa autodistruzione dell’ebraismo replicherebbe, sul piano filosofico, l’autodistruzione degli ebrei che Heidegger ha tematizzato per negare il crimine nazista.
E ancora l’ontologia comunitarista , di cui Heidegger resta il principale ideologo, non è del tutto innocente quando Donatella Di Cesare, un’altra invitata al convegno internazionale della BNF, ricorda pacatamente: «L’ebreo assimilato è in fin dei conti il più pericoloso, perché si mimetizza e si rende invisibile» (7). Dopotutto la Stella di David evitava i i pericoli di questa dissimulazione.
Da lunga data ormai, alcuni leadear delle correnti heideggeriane francesi si sono compromessi con il negazionismo: Robert Faurisson ha maliziosamente pubblicato negli Annales d’histoire révisionniste le lettere di sostegno, dai toni fraterni, che gli aveva inviato Jean Beaufret, principale introduttore di Heidegger in Francia, nelle quali egli si rallegra di essere arrivato «alle sue stesse conclusioni». In una apologia, il suo successore François Fédier s’indigna: lungi dal «negare lo sterminio» degli ebrei, Beaufret si sarebbe limitato a mettere in dubbio l’esistenza delle camere a gas» (8). Questa strana eufemizzazione coinvolge anche le traduzioni, tanto che nella sua edizione degli Écrits politiques di Heidegger, Fédier traduce: «Bisogna condurre una lotta accanita nello spirito del socialismo nazionale, lotta che non deve essere soffocata da pregiudizi umanitari o cristiani che ne attenuerebbero il carattere assoluto» (9). Il «socialismo nazionale» altro non è che il nazional-socialismo.
Pubblicato nel dicembre del 2013, il Dictionnaire Heidegger, codiretto da Fédier, nega ancora la presenza di qualsiasi antisemitismo nell’opera del Maestro, e definisce «fesserie» i primi commenti di Trawny sui Quaderni neri. Dopo l’anno appena trascorso, che Nicolas Weill ha definito come «l’anno del naufragio», smentite e affermazioni si conciliano soavemente, e tutti, da Trawny a Di Cesare a Fédier si ritrovano allo stesso tavolo.
Quella che s’ impone è una strategia comune: 1. Ridurre la questione del nazismo a quella dell’antisemitismo, come a una sorta di patina d’epoca. 2. Mobilitare i «pensatori ebrei» per testimoniare della loro fedeltà a Heidegger, come se si potessero prendere in ostaggio degli ebrei morti o anche vivi per scagionare un ideologo del nazismo: questo fa parte della banalizzazione generale dell’antisemitismo. 3. Unire la «destra» e la «sinistra» heideggeriane per provare che Heidegger è il solo pensatore che permette di comprendere veramente il mondo moderno.
Ecco allora che Vattimo, dopo aver salutato il «coraggio» del Maestro nell’aver aderito al partito nazista, pubblica un articolo intitolato Heidegger, antisemita indispensabile (10), trascurando comunque il fatto che l’antisemitismo demenziale di Heidegger si estende all’insieme di tutta la modernità, dell’«americanismo» (del quale prevede la fine nell’anno di grazia 2.300), al bolscevismo, alla tecnica e a tutto quello che chiama la Machenschaft, e l’efficacia calcolante.
Così gli heideggeriani aggirano la questione centrale dell’introduzione del nazismo nella filosofia, mentre il Maestro afferma che: «Il nazional-socialismo è un principio barbaro. È l’essenziale, e la sua potenziale grandezza. Il pericolo non è il nazional-socialismo stesso, ma che esso venga depotenziato da una predicazione sul vero, il buono, il bene (…)» (11).
Soltanto la filosofia, quella di Heidegger, gli permette di evitare questa deviazione: «Il nazional-socialismo non può mai essere il principio di una filosofia, ma deve sempre essere basato sulla filosofia in quanto principio» (12). Senza alcun riguardo per le connivenze accademiche, né per le mire nascoste dell’estrema destra che punta a una santa alleanza antimussulmana, i filosofi dovranno trovare il coraggio di riconsiderare tutta la questione Heidegger 13), di rileggerlo, di respingere la sua ideologia mortifera e di ricostruire l’etica.
Traduzione dal francese di Nicolas Martino
Pubblicato da Alfabeta2
Note
1. Frase espunta nell’edizione originale (GA [Gesamte Ausgabe], t. 98, p.78).
2. Seuil, 2014, p. 79.
3. Nelle sue lettere Heidegger si lamentava del fatto che i suoi corsi fossero pieni zeppi di ebrei e mezzi-ebrei (Halbjuden); dopo la disfatta del Reich invece si farà forte di questo per costruire la sua linea di difesa.
4. Diremmo di Serraute o Gary che sono degli «scrittori ebrei»? Di Offenbach o Richard Strauss che sono dei «musicisti ebrei»? E Wagner sarebbe allora un musicista «goy» o «ariano»?
5. Un rabbino «bisunto», precisa George Steiner nel suo strano romanzo, Il processo di San Cristobal
6. Vita e Pensiero, 1995
7. «Heidegger, das Sein, und die Juden» in Information Philosophie, 2/2014, p.15. Apparentemente sollevata, Di Cesare descrive Améry come «l’ebreo tedesco che nega l’appartenenza ebraica che è invece obbligato a riconoscere una volta che il nazismo ha decretato che lui non appartiene ai non-ebrei, che non è un non-ebreo». (Utopia of Understanding: Between Babel and Auschwitz, p. 98). Nella sua intervista a L’Espresso aggiunge pacatamente: «Per un intellettuale come Jean Améry (lui stesso sopravvissuto al lager), Heidegger era un punto di riferimento», anche se Améry è un critico «feroce» (riconosce Nancy) di Heidegger; Si veda in particolare «Sie blieben in Deutschland – Martin Heidegger » (1968), in Jean Améry, Werke, vol. 6, Aufsätze zur Philosophie, pp. 297-329.
8. Emmanuel Faye, citato in Le Monde, 20.09.2006. Il testo di Fédier è stato ripreso su vari siti come quello di Zagdanski, un altro ospite di riguardo del convegno
9. Heidegger, Écrits politiques, Gallimard, 1994, p. 145
10. L’Espresso, 11.12.2014
11. GA 94, p. 194
12. GA 94, p. 190. L’introduzione del nazismo nella filosfia si chiarisce comunque quando Di Cesare afferma che il nazismo è una filosofia bella e buona (Heidegger e gli ebrei, Bollati Boringhieri, 2014, p. 25.), richiamandosi al Lévinas di Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, Quodlibet, 1996.
13. Nessuno degli autori del Dictionnaire Heidegger, né dei partecipanti al convegno della BNF, ha firmato la petizione, diffusa in rete dieci anni fa, che chiede il libero accesso agli archivi di Heidegger per i ricercatori.