Antiper | I nemici non sono tutti uguali. E neppure gli amici
Da Rivolta araba, raccolta di interventi sulle rivolte arabe del 2010-2011.
Quando pensiamo al grado di “inimicizia” verso gli interessi dei lavoratori ognuno di noi ha, in modo più o meno consapevole, una propria scala di priorità: noi, ad esempio, riteniamo che il nemico principale della possibilità di sviluppo sociale dell’umanità sia oggi l’imperialismo ovvero il capitalismo dell’epoca dei monopoli, della finanza, dell’esportazione dei capitali, ecc…
“Ma tutte le definizioni troppo concise sono bensì comode, come quelle che compendiano l’essenziale del fenomeno in questione, ma si dimostrano tuttavia insufficienti, quando da esse debbono dedursi i tratti più essenziali del fenomeno da definire. Quindi noi – senza tuttavia dimenticare il valore convenzionale e relativo di tutte le definizioni, che non possono mai abbracciare i molteplici rapporti, in ogni senso, del fenomeno in pieno sviluppo – dobbiamo dare una definizione dell’imperialismo, che contenga i suoi cinque principali contrassegni, e cioè:
1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di un’oligarchia finanziaria;
3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci;
4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.
L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici” [1].
Dal momento che riteniamo le esigenze necessarie alla riproduzione del modo di produzione capitalistico (sempre maggiore sfruttamento degli uomini e della natura nel suo senso più vasto, distruzione sociale e culturale, guerra…) il problema principale che abbiamo, consideriamo la lotta contro l’imperialismo il compito principale che abbiamo. Questa lotta può e deve essere sociale, sindacale, politica, culturale. In certe condizioni, anche una lotta di liberazione nazionale può essere parte della resistenza contro l’imperialismo.
Vale la pena ricordare una celebre frase di Lenin, peraltro citata spesso a sproposito:
“Nelle condizioni dell’oppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l’esistenza di elementi proletari nel movimento, l’esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano nel movimento, l’esistenza di una base democratica del movimento.
La lotta dell’emiro afghano per l’indipendenza dell’Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell’emiro e dei suoi seguaci […]” [2]
“La lotta dei mercanti e degli intellettuali borghesi egiziani per l’indipendenza dell’Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta oggettivamente rivoluzionaria, quantunque i capi del movimento nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano contro il socialismo, mentre la lotta del governo operaio inglese per mantenere la situazione di dipendenza dell’Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta reazionaria, quantunque i membri di questo governo siano proletari per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano “per” il socialismo” [3].
Questa frase va letta nel quadro della lotta politica interna contro le posizioni di quei bolscevichi che tendevano a sottovalutare l’importanza delle lotte di liberazione nazionale nel quadro della lotta contro l’imperialismo (problema che ha attraversato più volte il dibattito interno al marxismo russo, anche dopo l’Ottobre).
Lo stesso termine “rivoluzionario”, attribuito all’azione dell’Emiro afghano, non deve essere letto in senso letterale, ma soprattutto come rafforzativo di un concetto.
Lenin comprende che la natura “socialmente” proletaria non è l’unico – e talvolta neppure il principale – requisito di un movimento di resistenza nazionale. E questo significa due cose: primo, anche un movimento non proletario può essere utile nella lotta contro l’imperialismo; secondo, anche un movimento proletario può non essere utile nella lotta contro l’imperialismo.
Il punto centrale è tuttavia questo: nella lotta contro l’imperialismo (inglese) è più utile la resistenza nazionalista e monarchica dell’Emiro Afghano o il sostanziale appoggio offerto agli imperialisti dalle Trade Unions e dall’“aristocrazia operaia” inglesi?
E analogamente: nella lotta contro l’imperialismo USA-UE è più utile la resistenza del popolo iracheno, afghano, libico oppure il “via libera” offerto agli imperialisti dai ribelli cirenaici e dai partiti “democratici” e della “sinistra” occidentali, ri-finanziatori delle missioni di guerra?
Note
[1] Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo
[2] Lenin, Bilancio della discussione sull’autodecisione, Vol. XlX, pp. 257-258 ed. russa
[3] Ibidem