Antiper | Ruoli
Da Rivolta araba, raccolta di interventi sulle rivolte arabe del 2010-2011.
Ci troviamo oggi in tempi assai diversi da quelli dell’epoca post-coloniale, del nazionalismo progressista arabo, del movimento dei paesi “non allineati”, delle resistenze antimperialiste, delle insorgenze rivoluzionarie in Africa, in Asia e in Medio Oriente…
Il quadro politico internazionale che abbiamo di fronte è profondamente diverso da quello degli anni ’60-’70 che era caratterizzato da un avanzamento progressivo dei popoli del Tricontinente.
È del tutto evidente che le esperienze di lotta – che pure si sviluppano in Africa, anche da tempo – non ricordano neppure lontanamente quelle dirette dal FLN algerino, dall’ANC sudafricano, dall’OLP, dai Lumumba, dagli Almicar Cabral, dai Thomas Sankara, dai Ben Barka…
Non intendiamo quindi analizzare le rivolte attuali con il pensiero rivolto ad un’altra epoca storica. Sarebbe ingenuo pretendere che, dopo decenni di arretramento, il movimento antimperialista sia in grado di proporsi con caratteristiche politiche certamente oggi poco realistiche.
Ciò nonostante il confronto è necessario perché quello che ad alcuni osservatori superficiali può apparire molto positivo in termini relativi (la mobilitazione popolare nel mondo arabo) può in realtà esserlo molto meno in termini assoluti. E soprattutto, la situazione è molto più complessa, articolata e contraddittoria si quanto si possa desumere dall’attribuzione della qualifica di “rivoluzione” che viene generosamente distribuita da destra e da manca.
Non giudichiamo le attuali mobilitazioni partendo dal loro contenuto ideologico, ma a partire dalla posizione che esse assumono oggettivamente (o soggettivamente) nel quadro dello scontro contro l’imperialismo. Se non esprimessimo neppure questo giudizio finiremmo per considerare rivoluzionario il solo e semplice scendere in piazza (il che vuol dire non capire nulla di quanto sia grande la capacità, da parte delle classi dominanti, di suscitare la mobilitazione delle masse in senso reazionario).
Questa è la ragione per cui, a differenza dei tanti schizzinosi che qualche anno fa disquisivano in modo bizantino sulla (poca) purezza politica delle resistenze in Iraq o in Libano o in Afghanistan, noi abbiamo sempre sostenuto lo sforzo di quelle Resistenze contro il tentativo dell’imperialismo di schiacciarle sotto il proprio tallone: non in quanto ci assomigliavano politicamente, ma in quanto rappresentavano un elemento di resistenza – appunto – ai piani dell’imperialismo che se avesse trovato campo libero avrebbe potuto trovare sollievo – se non addirittura parziale soluzione – alle proprie contraddizioni strutturali, contraddizioni che la crisi, tra l’altro, acuisce in modo sempre più evidente.