Antiper | Diritti
I comunisti riconoscono il diritto di un popolo alla propria auto-determinazione nazionale, politica, sociale… anche quando il segno di tale autodeterminazione non corrisponde agli interessi reali di quel popolo; questo riconoscimento è tuttavia puramente formale, come formale è, all’interno del modo di produzione capitalistico, la dichiarazione universalistica che i diritti sono uguali per tutti in astratto mentre invece essi non lo sono affatto in concreto, dal momento che non tutti hanno le stesse possibilità economiche, sociali e culturali per accedere a tali diritti.
In astratto riconosciamo il diritto di un popolo a scegliersi la propria “classe dirigente” e quindi riconosciamo il diritto del popolo tedesco a scegliersi, negli anni ’30, il partito nazista come guida politica.
In concreto, se fossimo vissuti negli anni ’30, ai nazisti – cui riconoscevamo astrattamente il diritto di guidare la nazione tedesca se da tale nazione fossero stati eletti – ci saremmo trovati probabilmente a sparare addosso e non certo per puro spirito patriottico (spirito che peraltro, in una società capitalistica, non nutriamo nemmeno un po’ – e con questo chiudiamo la nostra celebrazione dei 150 anni dalla cosiddetta “Unità d’Italia” -).
Ancora. Noi riteniamo che abbiano diritto ad usufruire delle tutele offerte dello Statuto dei Lavoratori anche i lavoratori che votano partiti che vorrebbero abolirlo. Certamente i crumiri non meritano gli aumenti salariali conquistati con gli scioperi; ciò nonostante non abbiamo mai pensato che si debba negare a qualcuno – neppure ai crumiri – il diritto di godere dei risultati conquistati dai lavoratori attraverso lotte in cui viene spontaneo prendere i crumiri di cui sopra a colpi di manico di piccone in testa. Loro hanno il diritto di non scioperare, ci mancherebbe. Ma anche noi abbiamo il diritto di impedire ai padroni di vanificare la nostra lotta usando i crumiri.
A questo punto possiamo riconoscere il diritto dei ribelli libici ad insorgere con bandiere monarchiche e con l’appoggio politico-militare dei paesi imperialisti. Ma questo tipo di insorgenza noi non lo consideriamo per nulla rivoluzionario; lo consideriamo, per la precisione, reazionario, anche nel senso storico-etimologico del termine, perché si tratta di un tipo di insorgenza che non punta tanto ad annientare il “monarca” Gheddafi (destino che Gheddafi non ha demeritato per quanto ha fatto negli ultimi anni), ma piuttosto ad annullare la storia libica dal 1968 in poi. E questa è una cosa ben diversa.
Ecco il punto: di fronte a due diritti contrapposti il problema non è più formale, ma sostanziale. Se ci facciamo rinchiudere nella gabbia di un dibattito di carattere formalistico – diciamo, liberal-democratico – sui “diritti in astratto” invece di valutare come si colloca e quali effetti pratici abbia per i lavoratori, in uno scenario sociale e politico determinato, un evento sociale e politico determinato, vuol dire che evidentemente non abbiamo imparato nulla della lezione marxista sulla democrazia.
Passi, questo, per chi marxista non è e non intende essere, ma che dire di tutti quei tromboni – anzi quelle trombette – sempre pronti ad accapigliarsi su Trotzky, Stalin, Bordiga, Henver Hoxha, Mao Tze Tung, Kim Il Sung, Kim Jong Il, Rin Tin Tin… ma che poi non sanno neppure distinguere tra chi si batte contro il tentativo di dominio dei paesi imperialisti (nel cui epicentro anche noi ci troviamo a combattere) e chi mendica il loro supporto politico-militare rendendosene inevitabilmente schiavo? Il dilagare di attribuzioni “rivoluzionarie” ai ribelli libici e alle manifestazioni egiziane o siriane prima ancora di aver capito effettivamente qualcosa di ciò che sta avvenendo, costituisce la dimostrazione più eloquente dello stadio terminale raggiunto dai nano-gruppi politici i quali, avendo ormai perso qualsivoglia autonomia politico-culturale, non fanno che ripetere in vernacolo “gruppettaro” le veline diffuse dal sistema mediatico dominante.
E’ vero, neppure noi che scriviamo siamo lontanamente all’altezza della situazione, ma almeno abbiamo abbandonato – o tentiamo di abbandonare – la strada della propaganda e specialmente di quella della propaganda di bottega che conduce inevitabilmente alla divaricazione progressiva tra enunciati teorici e comportamenti pratici, divaricazione che viene definita “tattica” e in nome della quale si presume di poter dire – e fare – tutto ed il contrario di tutto.
Una volta, questa divaricazione veniva chiamata opportunismo; oggi sarebbe fin troppo elogiativo dare degli opportunisti a certi gruppi politici che allo stadio dell’opportunismo non sono neppure ancora arrivati e stanno ben fermi a quello della semplice disperazione.
Noi preferiamo scrivere sulla nostra “bandiera” il motto del filosofo marxista francese Louis Althusser: “ne pas se raconter des histoires”. Non raccontarsi delle favole.
Condizione necessaria, seppure non sufficiente, per non raccontarne ad altri.